“Riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno” - Calvino
L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n'è uno, è quello che è già qui, l'inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l'inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.
Le città invisibili, Italo Calvino
In questo periodo di guerre atroci che mietono innumerevoli vittime tra bambini, donne e uomini civili, la tentazione è quella melanconica: lasciarsi andare all’arrendevolezza del pensiero che il mondo che abitiamo faccia schifo e che non ci sia nulla da fare. Abbandonarsi all’umore nero o lasciarsi cingere dall’abbraccio pesante di una visione cinica delle cose.
La preziosità delle parole di Calvino sta nel mostrarci un’altra possibilità. Il racconto che tutto possa funzionare bene e che la felicità sia a portata di mano è il racconto contemporaneo che vorrebbe rimuovere il male, e che finisce per riprodurlo incessantemente. Calvino non dà vane illusioni, non teme di dire (con un’eco sartriana) che il mondo che abitiamo ha le sembianze di un inferno, ma non interrompe qui il suo discorso. C’è qualcosa, nell’inferno, che inferno non è. Ecco il compito etico che ci consegnano queste poche righe: sta a noi trovare queste cose preziose e saper farle durare. Ed è un lavoro faticoso: Calvino invita a un vero e proprio allenamento nell’arte e nella tecnica di “riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio”.