100 anni di Basaglia (e sentirli tutti) - per una politica delle pratiche psi

Non dico neppure «la politica è l’inconscio», ma, molto semplicemente, l’inconscio è la politica.
— Seminario XIV di Lacan su "La logica del fantasma"

Franco Basaglia, neurologo, psichiatra, politico. Autore della legge 180 del 1978 (“legge Basaglia”) che, tra le altre cose, impose la chiusura dei manicomi e regolamentò il trattamento sanitario obbligatorio.

Una delle peggiori conseguenze dell’attuale trionfo del paradigma organicista in psichiatria e riduzionista in psicologia è la de-politicizzazione delle pratiche psi, ridotte spesso a pratiche sanitarie protocollari, laddove l’ambito psi, molto più marcatamente rispetto all’ambito della medicina del corpo (ancora è utile, per capirci, ricorrere nel discorso a un certo dualismo), è un campo della soggettività dell’esperienza, irriducibile a dati materiali e universali, che pure vi sono implicati.

Non intendo con “de-politicizzazione” riferirmi alla scomparsa della politica dalle pratiche, perché non esiste un atto umano che non sia un atto politico, cioè implicante presupposti e conseguenze legate alla comunità in cui si compie (politica: dal greco polis, città). Intendo per de-politicizzazione la scomparsa di una riflessione politica sulle pratiche: la politica c’è sempre, ma non si vede, non se ne parla, è come se non ci fosse: è come se un dato obiettivo, misurabile, uguale per tutti (così è inteso oggi un dato “scientifico”) garantisse una verità extra-politica, extra-soggettiva.

Ex Manicomio di Colorno (Parma). Foto di Paolo Lottini.

Dovremmo auspicarci, al contrario, il ritorno di una riflessione politica ed epistemologica (cioè sui fondamenti di una scienza), in tutti quegli ambiti in cui si produce e si mette in atto un sapere clinico, siano università, ospedali, studi privati, associazioni... Trovo che sarebbe uno dei modi di raccogliere l’eredità di Franco Basaglia, che una politica della psichiatria non l’ha solo ideata ma l’ha attuata. Eredità basagliana che è oggi piuttosto dispersa, gravemente in crisi nell’epoca dei tagli massicci alla sanità e dell’ebbrezza neuroscientifica, cioè quella che il neurobiologo Prof. Carlo Umiltà e lo psicologo cognitivo Prof. Paolo Legrenzi dell’Università di Padova hanno chiamato “Neuro-mania” nel loro volume. Non è in questione l’importanza della neurobiologia, ma un suo certo uso esclusivo che riduce la clinica della psichiatria a una psicofarmacologia, producendo una burocratizzazione della clinica che elimina il soggetto dallo sguardo del curante. La stessa burocratizzazione è quella che si osserva in certe pratiche di psicoterapia, tutte le volte che un manuale di standard e protocolli rendono il colloquio clinico una forma di categorizzazione e di adattamento, anziché di trasformazione del soggetto verso la sua singolarità assoluta, per usare parole care a Lacan, che proprio questo indicava all’analista come direzione della cura.

Paolo Legrenzi e Carlo Umiltà, rispettivamente psicologo cognitivo e neuroscienziato, invitano a ridimensionare l’euforia collettiva che vede nelle neuroscienze la disciplina che potrebbe rivelare davvero “chi siamo”.

La visione di Basaglia è radicale, e al di là dell’essere più o meno concordi, non c’è dubbio che ancora oggi serva conoscerla, perché illumina un dato: lo psichiatra e lo psicologo, nelle istituzioni come i Centri di Salute Mentale, ma anche nell’apparente solitudine dei loro studi privati, sono attori di un campo politico.


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18.5.24 – La depatologizzazione della malattia mentale (EVENTO)

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