Perfezionismo: l’ideale che intrappola
Il tema dell’ideale è al centro di numerose elaborazioni in filosofia, in psicologia e in psicoanalisi.
Per quanto riguarda quest’ultima, Freud incluse nella sua ricerca i concetti di ideale dell’Io, Io ideale e idealizzazione. La psicoanalisi freudiana riletta da Jacques Lacan darà in seguito grande rilevanza al tema dell’ideale.
In effetti è un concetto che aiuta a leggere la struttura di molti fenomeni clinici. E questo è ancora più vero oggi, quando da un lato assistiamo al crollo degli ideali intesi come ideali politici, che avevano orientato e aggregato gli individui, dall’altro registriamo un rinnovato strapotere dell’ideale in certi fenomeni quali il perfezionismo, la spinta alla performance, al risultato. Anche a livello dell’immagine del corpo, troviamo l’ideale di magrezza e di purezza dietro alla spinta alla perfezione, che mostra tutto il suo lato mortificante nei disturbi alimentari come l’anoressia o nell’insoddisfazione inconsolabile del dismorfismo corporeo, così diffusi nell’adolescenza.
Da un lato, dunque, l’ideale che orienta, dall’altro, l’ideale che inibisce (ad es. nel perfezionismo) e mortifica (ad es. nell’anoressia, depressione).
In effetti, l’ideale - semplificando molto: ciò che si vorrebbe essere - aiuta a dare una direzione al soggetto, permette quelle che in psicoanalisi sono le identificazioni, cioè assunzioni di un tratto prelevato dall’Altro e fatto proprio, che permette al soggetto di reperirsi da qualche parte nel discorso, oltre che imbrigliare qualcosa della pulsione. Sebbene a volte occorra distanziarsene o metterle in questione (mentre altre volte occorre lavorare per rafforzarle), le identificazione sono in primo luogo utili al soggetto e l’ideale è implicato nel processo di identificazione.
L’altra faccia dell’ideale si manifesta quando anziché orientare il soggetto, diviene una sorta di persecutore interno. L’elemento persecutorio sta nel fatto che il soggetto si condanna all’insoddisfazione sull’altare di un ideale irraggiungibile. Un ideale eccessivamente ingombrante che relega il soggetto a una posizione di certa inferiorità, di indegnità. A volte il soggetto si arrende (possiamo pensare alla depressione), altre volte combatte una lotta incessante, come in certe manifestazioni dal tratto ossessivo di perfezionismo. È il caso dello studente che deve prendere il massimo dei voti per ritenersi soddisfatto: prendere 9 non dà soddisfazione, perché non è ancora il massimo, ma se arrivasse il massimo ancora non basterebbe, perché troverebbe comunque dei motivi per leggersi ancora insufficiente. Perché al di là dei dati cosiddetti di realtà, il soggetto si mette in una posizione di subalternità rispetto a un ideale da mantenere sempre a distanza. Sono i casi in cui l’ideale diventa uno sguardo severo gettato sul soggetto, condannato a un dover essere perfetto mai raggiungibile, che a volte produce fenomeni di inibizione in cui l’azione è sempre differita. È il campo della procrastinazione: il compito, la laurea, un’articolo da scrivere, un’opera creativa… la loro realizzazione è sempre rimandata, cosicché non prendono mai forma, non vengono mai portati a termine, perché niente può essere perfetto a meno che non rimanga un’idea, un ideale.
Infine, nel caso dell’anoressia, è innegabile il ruolo svolto dall’ideale del corpo magro. Il corpo perfetto, il corpo ideale è per l’appunto… ideale: paradossalmente incorporeo, senza peso, disincarnato. L’anoressia mostra bene la spinta verso la morte dietro la ricerca di perfezione. Tutto ciò che vive è in effetti necessariamente imperfetto, poiché la vita implica un movimento, una contingenza, una mancanza. È impossibile ridurre la clinica dei disturbi alimentari (come le altre fenomenologie cliniche evocate) a una questione di ideale, tuttavia è innegabile che questo abbia la sua incidenza.